Nella quotidianità della vita condominiale capita piuttosto spesso di imbattersi in qualche dubbio circa la proprietà di quella parte di fabbricato che divide due appartamenti. La questione non riguarda il pavimento e il soffitto, relativamente ai quali nessuno (o quasi) può seriamente nutrire dei dubbi, ma quella parte di manufatto che, dividendo due unità soprastanti l’una all’altra, costituisce – per così dire – la base sia del pavimento sia del soffitto.
Detto altrimenti: capita che i condomini si chiedano a chi appartenga il solaio esistente tra il piano superiore e il piano inferiore.
La questione ha una non secondaria ricaduta pratica: il diritto di proprietà, infatti, condiziona l’imputazione delle spese.
I termini della questione
Schematicamente e in via di estrema sintesi:
- due unità immobiliari, site in un edificio condominiale e soprastanti l’una all’altra, sono divise da un solaio;
- la definizione stessa di “solaio” rende chiaramente l’idea: “Struttura di un edificio che divide un piano dall’altro, facendo da copertura per il piano sottostante e da base per quello soprastante” [Sabatini Coletti, Dizionario di italiano, consultabile su corriere.it];
- la domanda cui occorre dare risposta è semplice: a chi appartiene questo solaio?
La giurisprudenza
La Corte di Cassazione è intervenuta sul punto già in epoca risalente, statuendo con chiarezza (e conseguente efficacia) quanto segue: “Il solaio esistente fra i piani sovrapposti di un edificio è oggetto di comunione fra i rispettivi proprietari per la parte strutturale che, incorporata ai muri perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura di quello inferiore, mentre gli spazi pieni o vuoti che accedano al soffitto od al pavimento, e non siano essenziali all’indicata struttura (nella specie, conglomerato cementizio per sottofondo di pavimentazione e protezione termica), rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell’esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale (nella specie, per la collocazione di tubi di raccordo di servizi)” [Cass. 7.6.1978 n. 2868].
Il concetto è stato ripreso – e ribadito – quarant’anni più tardi da Cass. 11.6.2018 n. 15048: “Quando gli spazi pieni o vuoti, che accedano al soffitto od al pavimento, non siano essenziali alla struttura divisoria, rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell’esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale”.
Sembra, quindi, di poter dire che la Suprema Corte ha già da tempo fornito una risposta chiara alla domanda di cui sopra:
- il solaio è in comproprietà tra il proprietario dell’unità sottostante e il proprietario dell’unità sovrastante limitatamente a quella sua parte che assolve alla duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura di quello inferiore. A quella parte, cioè, che può a pieno diritto definirsi “strutturale”;
- gli elementi che, pur accedendo al soffitto e/o al pavimento, non sono essenziali alla struttura che divide le due unità appartengono, invece, all’uno e all’altro proprietario singolarmente considerati.
Una concreta – ma non condivisibile – “lettura” diversa
Chi scrive si è trovato ad affrontare un’obiezione concreta, sollevata da chi ritiene che tutto ciò che rientra nel concetto di “struttura” sia per legge – il riferimento è all’art. 1117 cod. civ. – condominiale e cioè in comproprietà tra tutti i partecipanti all’edificio.
A sommesso avviso di chi scrive questa “lettura” della norma non può essere condivisa.
Per convincersene basta por mente al dato letterale dell’art. 1117, primo comma, n. 1), cod. civ. ai sensi del quale sono condominiali “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate”.
E’ ben vero che questa disposizione introduce il concetto di “parti dell’edificio necessarie all’uso comune” e che questo potrebbe indurre a pensare che debba considerarsi condominiale tutto ciò che fa parte integrante della struttura e cioè tutti gli elementi senza i quali l’edificio stesso non potrebbe “stare in piedi”. E’, però, altrettanto vero che la medesima norma elenca esemplificativamente alcune parti dello stabile, che hanno sicuramente natura e funzione strutturale, ma che sono, per loro natura, ugualmente utilizzate da tutti i condomini.
Per essere più chiari:
- il suolo costituisce la “base di appoggio” dell’edificio e, quindi, serve in uguale misura a tutti i condomini;
- le fondazioni, i muri maestri, le travi portanti, i tetti e così via assolvono alla medesima funzione per tutti i condomini e sono elementi che non possono non esserci;
- il solaio tra – per esempio – l’unità sita al quinto piano e l’unità sita al sesto piano, per contro, potrebbe anche non esserci. Così è negli edifici con quattro (o meno) piani;
- ne viene che tale solaio non è necessario all’uso comune di tutti i condomini, ma “solo” all’uso comune dei due condomini del quinto e del sesto piano.
Il concetto può essere espresso anche così:
- sono condominiali tutte quelle parti dell’edificio, senza le quali non potrebbe neanche esistere un edificio (le fondazioni, i muri perimetrali, il tetto, ecc.).
Tutte quelle parti, cioè, che si trovano in qualsiasi edificio e non possono non esserci;
- le parti che, invece, potrebbero anche non esserci senza pregiudizio dell’esistenza stessa di un edificio – si pensi al solaio tra il quinto e il sesto piano, assente in un edificio di quattro piani – non sono condominiali.
La norma originaria è scritta male. Senza entrare in altri argomenti, che cosa significa tecnicamente ad es. “muri maestri”?
Forse vale la pena di rispondere con alcune definizioni di “muro maestro” fornite dalla giurisprudenza:
secondo Tribunale Roma 12.4.2019 n. 8055 [in Redazione Giuffrè 2019] i muri maestri sono i “muri perimetrali (aventi funzione portante dell’edificio)” e i “tratti portanti dei muri interni”;
secondo Cass. 10.5.2018 n. 11288 in tema di condominio negli edifici “il termine muri maestri di cui all’ art. 1117, n. 1, c.c. va inteso nel senso di ritenere condominiali non solo i muri aventi funzione portante, ma anche ogni altro manufatto che, seppur privo di detta funzione strutturale, assolve alla funzione di muro perimetrale atto a delimitare la superficie coperta, a dare sagoma all’edificio e ad assicurarne la fruibilità abitativa e la conservazione rispetto agli agenti atmosferici”;
secondo T.A.R. Bolzano 23.5.2016 n. 170 “Nelle costruzioni moderne in cemento armato, l’espressione “muro maestro” non va riferita solamente alla intelaiatura di pilastri ed architravi costituente l’ossatura dell’edificio, ma anche ai cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento, giacché, pur non avendo funzione portante, costituiscono parte organica ed essenziale dell’intero immobile che, senza la delimitazione da essi operata, sarebbe uno “scheletro vuoto” privo di qualsiasi utilità”;
secondo Cass. 30.1.1998 n. 945 “rientra nella categoria dei muri maestri, ed, al pari di questi, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell’esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato” la “facciata di prospetto di un edificio”
M. R.