Avv. Marco Ribaldone – In caso di mancata convocazione la prova di resistenza non serve

Ci si interroga sulla possibilità di “salvare” la delibera impugnata dal condomino che non è stato convocato: si può fingere che il condomino sia intervenuto e abbia votato e, quindi, conteggiare il suo voto come se fosse stato espresso e, all’esito, annullare la delibera solo se quel voto risulta determinante? Detto altrimenti: il vulnus della mancata convocazione attiene unicamente al voto oppure si deve ritenere che vi sia qualcosa di più grave, tale da precludere la possibilità di quel “salvataggio”?

I termini della questione 

Schematicamente:

  • l’omessa convocazione in assemblea anche di un solo avente diritto comporta l’invalidità della delibera, che sia stata adottata in quella sede;
  • ci si chiede se esista un modo per “salvare” quella delibera;
  • più specificamente: ci si chiede se, in questa situazione, possa trovare applicazione e avere una qualche rilevanza la c. d. “prova di resistenza”
  • detto altrimenti: la “prova di resistenza” può essere utilizzata analogicamente per tentare di “salvare” la delibera adottata dall’assemblea, il cui procedimento di convocazione è affetto dal sopra citato vizio?

 

E’ appena il caso di ricordare che la c.d. “prova di resistenza” è un “meccanismo”, cui si ricorre in ipotesi di un condomino in conflitto di interessi, per effetto del quale

  • si effettua un nuovo conteggio dei voti, nel quale non si tiene conto del voto espresso da chi non poteva esprimerlo
  • si ritiene valida la delibera, che sarebbe stata comunque approvata anche senza quel voto (il cui “peso” determinante è stato come sopra escluso).

 

Il quadro normativo e interpretativo

Le disposizioni e le interpretazioni che “entrano in gioco” sono:

  • l’art. 1136, ultimo comma, cod. civ. [“L’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati”]
  • l’art. 1137, secondo comma, cod. civ. [“Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento …”];
  • l’art. 66, terzo comma, disp. att. cod. civ. [“In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati”];
  • l’art. 2373 cod. civ. [“La deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell’articolo 2377 qualora possa recarle danno”];
  • la definizione di “conflitto di interessi”, efficacemente “messa a fuoco” dalla giurisprudenza della Suprema Corte [“Al riguardo occorre richiamare il principio già affermato da questa Corte, e condiviso (Cass. 10754 del 2011), secondo il quale ‘in tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto di interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio’” (così la motivazione di Cass. 24.5.2013 n. 13004)];
  • la definizione di “prova di resistenza”, efficacemente spiegata nella motivazione di Cass. 11.2.2019 n. 3925 [“la ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto fornire la cd. ‘prova di resistenza’ dimostrando cioè che senza il voto della condomina S. l’esito della delibera sarebbe stato diverso”]

 

Considerazioni concrete

Come si è visto, si può – e si deve – ricorrere alla “prova di resistenza” per escludere la rilevanza del voto espresso dal condomino in conflitto di interessi e “salvare”, così, la delibera “in odore” di invalidità.

 

E’ convinzione di chi scrive che il ricorso alla “prova di resistenza” non possa, invece, essere utilmente invocato al fine di “salvare” la delibera affetta dal vizio di omessa convocazione anche di un solo avente diritto.

Queste le ragioni:

  1. in primis, non è dato sapere se l’avente diritto non convocato sarebbe intervenuto in assemblea;
  2. in secundis, non è dato sapere quale voto sarebbe stato espresso da tale avente diritto;
  3. in tertiis, la partecipazione all’assemblea è un diritto di ampia portata, che comprende il diritto ad esprimere un voto a favore o contro una certa delibera, ma non si esaurisce in esso.

 

Con ordine:

  • la criticità sub a) può essere superata sulla base del rilievo che l’avente diritto non convocato, impugnando la delibera, manifesta in maniera inequivocabile il suo interesse all’argomento trattato in assemblea.

Il che rende lecito presumere, con un buon grado di fondatezza, che, se ritualmente convocato, egli sarebbe intervenuto in assemblea;

  • analogamente, anche la criticità sub b) può essere superata.

Questa volta, il rilievo “vincente” attiene al fatto che l’avente diritto non convocato, impugnando la delibera, manifesta in maniera inequivocabile il suo dissenso rispetto alla delibera che è stata adottata. E’, infatti, evidente che nessuno impugnerebbe mai una delibera, di cui approva l’oggetto.

Tutto questo rende lecito presumere, con un buon grado di fondatezza, che, se ritualmente convocato e presente in assemblea, egli avrebbe espresso voto contrario alla delibera impugnata;

  • chi scrive ritiene, invece, insuperabile la criticità sub c).

 

Partecipare all’assemblea non significa solo esprimere il voto a favore o contro la delibera proposta, ma anche e soprattutto partecipare alla discussione, al dibattito tra i condomini.

Il condomino assente (perché non convocato) perde soprattutto il diritto di esprimere le sue convinzioni, il diritto di provare a convincere di tali convinzioni l’intera compagine condominiale. Detto altrimenti: il diritto di provare a far cambiare idea agli altri condomini.

L’assemblea è soprattutto la sede del dibattito e del confronto, il luogo e il momento in cui un condomino può tentare di convincere gli altri partecipanti al condominio. Con la conseguenza che precludere al condomino il diritto di partecipare all’assemblea significa togliergli molto più del “mero” diritto di voto.

 

Alla luce di tutto quanto detto, la conclusione – e, con essa, la risposta formulata all’inizio – è inevitabile: non è possibile utilizzare analogicamente la “prova di resistenza” e, per mezzo di essa, “salvare” la delibera adottata dall’assemblea, il cui procedimento di convocazione è affetto dal vizio di mancata convocazione anche di un solo avente diritto.

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