La vicenda dei “grattacieli” di Milano, nati su aree dismesse attraverso semplice “Scia” e non con un piano di recupero o un permesso di costruzione, pone dei problemi.
Problemi che non possono essere ridotti a semplice violazioni di una interpretazione restrittiva, da parte della magistratura, di norme burocratiche la cui applicazione avrebbe bloccato lo sviluppo, non solo urbanistico, di Milano.
Non è così, quelle norme, nella stragrande maggioranza dei comuni italiani, del nord e del sud, hanno avuto una applicazione diversa da parte degli uffici urbanistici e conforme a quella ritenuta corretta dalla procura milanese. Diciamo che a Milano negli uffici ha prevalso una interpretazione elastica, estensiva e creativa delle norme urbanistiche che, per la procura, ha determinato anche il mancato incasso della eventuale monetizzazione degli standard urbanistici. Infatti si parla di norma “Salva Milano”, dopo il “Salva casa”, ora il salva una città facendo pensare che senza di ciò ci si avvia al declino non solo del capoluogo lombardo, ma dell’intero paese.
Un approccio sbagliato, totalmente e poco rispettoso nei confronti di chi, la quasi totalità degli uffici tecnici dei comuni italiani, ha applicato la norma correttamente. Lo sviluppo urbanistico deve essere rispettoso delle regole che sono dirette a salvaguardare il territorio, la vivibilità della città, la corretta urbanizzazione e i servizi.
Al posto di modesti volumi di aree inagibili o di immobili dismessi si sono realizzati grattaceli i cui appartamenti vengono venduti a cifre da capogiro. Non si tratta di case popolari e nemmeno per il ceto medio, quello per intenderci che cerca di vivere a Milano con meno di 3 mila euro al mese, ceto troppo ricco per godere delle protezioni sociali, ma troppo povero per permettersi il costo di un canone di locazione sopportabile.
Ma veniamo a quanto avvenuto.
In quei casi, oggetto di indagine e sequestro, avendo utilizzato una Scia e non un permesso di costruzione o una convenzione, il privato/costruttore ha avuto il vantaggio, elevatissimo, di risparmiare sugli standard urbanistici. Si tratta di risparmi che incidono sul costo di costruzione e di vendita. Gli standard urbanistici sui cui si è risparmiato sono parcheggi ad uso pubblico, aree verdi e altro.
Una città moderna non può rinunciare a questi servizi chinandosi alle scelte dei costruttori. Sanare questa situazione, come sembra fare il Disegno di legge presentato alla camera, determina una ingiustizia nei confronti di quei tecnici e quei costruttori che in situazioni analoghe si sono trovati a dovere affrontare costi superiori.
La cosa più grave e che se il ”Salva Milano” rischia di diventare una norma interpretativa che vale anche per il futuro e si avranno situazioni di quartieri privi di servizi indispensabili per i residenti e minori incassi per i comuni. Altra questione, mal posta: se non si sanano queste situazioni gli acquirenti (proprietari che hanno speso anche due milioni di euro per appartamento) rischiano di perdere il loro immobile.
Vero sino ad un certo punto, per gli immobili da completare ci si dimentica che trattandosi di immobili di nuova costruzione sono o dovrebbero trovare tutela nel DL 122/205 (fideiussione a garanzia e polizza postuma decennale).
Non siamo all’abusivismo di necessità anche se una soluzione va trovata, ma non certo con un condono mascherato e totalmente gratuito. E’ ora di mettere ordine al sistema delle concessioni e delle convenzioni urbanistiche che hanno visto e vedono ignari proprietari doversi gravare di oneri di urbanizzazione non realizzati o mal realizzati dai costruttori. Un mercato edilizio affidabile e serio richiede rispetto delle regole e soprattutto tutela del compratore.
Appc non può che essere a fianco dei piccoli proprietari ignari vittime di chi cerca solo il profitto e di quei residenti nei quartieri in cui nascono queste nuove mega costruzioni che porteranno ad un aggravio dei disagi e a una conseguente perdita del valore delle vecchie proprietà immobiliari.
Ma soprattutto è necessario che per le nuove costruzioni si facciano delle convenzioni in cui sia prevista una quota ampia di appartamenti da destinare per sempre alla locazione con canoni concordati per cercare di ridurre il gravissimo disagio abitativo di Milano.
Vincenzo Vecchio
Presidente Nazionale Appc