Condominio – la cessazione dell’amministratore e il suo compenso

Condominio – la cessazione dell’amministratore e il suo compenso

 

La sentenza 7.6.2022 n. 8862 del Tribunale di Roma – per la quale chi scrive è in debito verso Condominioweb, News del 28.6.2022 – ha affrontato una fattispecie particolare e cioè quella del diritto al compenso dell’amministratore cessato dalla carica.

Lo ha fatto con una decisione che – è corretto anticiparlo da subito – a chi scrive appare non convincente

 

La fattispecie

 

Schematicamente:

  1. in occasione dell’assemblea svoltasi a giugno del 2016 l’amministratore in carica di un condominio di Roma ha manifestato la sua intenzione di non voler proseguire nell’incarico e, quindi, ha chiesto alla compagine condominiale di non nominarlo;
  2. l’assemblea ha preso atto di quanto sopra, non ha nominato subito un altro amministratore e ha stabilito “che l’amministratore avrebbe comunque dovuto ottemperare a quanto previsto ex art. 1129 c.c., eseguire tutte le attività per evitare pregiudizi agli interessi comuni” [così la parte motiva della sentenza del giudice della capitale];
  3. nel settembre dello stesso anno 2016 i condomini hanno chiesto all’amministratore di convocare l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore;
  4. detto nuovo amministratore è stato nominato in data 15.12.2016;
  5. una volta “lasciato” il Condominio, l’ex amministratore ha rivendicato il diritto a percepire l’intero compenso riferito alla gestione 1.1 – 31.12.2016.

 

Il ragionamento del Tribunale di Roma

 

A prescindere dalla decisione concreta, influenzata anche da altri elementi di fatto che in questa sede non interessano, il Tribunale ha riconosciuto il diritto dell’ex amministratore al compenso fino al settembre del 2016.

Questo il ragionamento seguito:

  • in base all’insegnamento della Suprema Corte “La perpetuatio di poteri in capo all’amministratore di condominio uscente, dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all’ art. 1129 c.c. o per dimissioni, fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta perpetuatio all’interesse ed alla volontà dei condomini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell’assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore cessato dall’incarico” (Cass. 17.5.2018 n. 12120);
  • dalla posizione assunta dalla compagine condominiale a fronte della dichiarazione dell’amministratore di non voler proseguire nell’incarico, come dianzi riferita sub a), non emerge – ancora le parole del Tribunale – “alcuna volontà dei condomini contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte” dell’amministratore dimissionario;
  • tale “volontà contraria” è stata manifestata successivamente e cioè a settembre del 2016, quando è stata chiesta la convocazione dell’assemblea per la nomina del nuovo amministratore;
  • ne discende che l’amministratore uscente ha diritto al compenso fino a settembre, mentre non ha diritto a nulla per il periodo da settembre a dicembre.

 

Considerazioni critiche

 

E’ doveroso operare una premessa:

  • le considerazioni che seguono sono il frutto della lettura della sola sentenza del Tribunale, non essendo possibile prendere visione degli atti e dei documenti di causa;
  • non si può escludere che la disamina di quanto sopra potrebbe anche portare a non condividere le conclusioni del Tribunale in ordine alla volontà espressa dalla compagine condominiale nell’assemblea del giugno 2016;
  • ai fini che qui interessano, comunque, il ragionamento deve prendere le mosse da quanto il Tribunale ha rilevato e ricostruito;
  • questo, anche perché proprio tale ricostruzione – in uno con le conclusioni che il giudice ne ha tratto – è “bersaglio” delle censure di chi scrive.

 

Detto quanto sopra, si rileva che la “lettura” che il giudice ha dato della posizione assunta dai condomini nell’assemblea di giugno 2016 non convince: se è vero, infatti, che in quella sede la collettività condominiale ha stabilito – così dice il giudice – “che l’amministratore avrebbe comunque dovuto ottemperare a quanto previsto ex art. 1129 c.c., eseguire tutte le attività per evitare pregiudizi agli interessi comuni”, allora si deve ritenere che i condomini non abbiano affatto inteso che l’amministratore entrasse in una vera e propria prorogatio, conservando i pieni poteri e la completa operatività, ma che abbiano voluto invocare l’applicabilità dell’art. 1129, ottavo comma, cod. civ. e cioè la disposizione in forza della quale l’amministratore cessato “è tenuto (…) ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”.

Detto altrimenti: l’assemblea ha espresso – per usare le parole di Cass. 17.5.2018 n. 12120 – “una volontà (…) contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore cessato dall’incarico” e, quindi, non vi è stata alcuna – ancora Cass. 17.5.2018 n. 12120 – “perpetuatio di poteri in capo all’amministratore (…) uscente”.

E’ evidente che, in assenza di perpetuatio, non può neanche parlarsi di diritto al compenso.

 

Si evidenzia, tra l’altro, che il richiamo compiuto dal Tribunale di Roma a Cass. 17.5.2018 n. 12120 è – opinione di chi scrive – un errore.

Quella sentenza, infatti, è stata emessa in una fattispecie disciplinata dal previgente art. 1129 e non dal nuovo, introdotto dalla riforma del condominio del 2012 / 2013.

La differenza tra le due discipline è notevole e significativa e non può essere ignorata:

  • prima del 2013 l’amministratore cessato e non “sostituito” entrava in una determinata prorogatio imperii – la “perpetuatio di poteri” di cui parla Cass. 17.5.2018 n. 12120 – e cioè continuava a svolgere il suo incarico con pieni poteri, mantenendo la completa operatività. Era corretto, quindi, che egli percepisse il compenso;
  • a far data dal 18.6.2013 vige, invece, la regola già vista secondo cui l’amministratore cessato “è tenuto (…) ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”, con la conseguenza che l’amministratore cessato e non “sostituito” deve fare solo alcune cose – esattamente quelle, tra l’altro, che nel caso in esame gli ha chiesto l’assemblea – e non ha diritto ad alcun compenso.

 

La conclusione di tutto quanto sopra – e, quindi, la critica a Tribunale Roma 7.6.2022 n. 8862 – è, a questo punto, semplice e chiara: si sarebbe dovuto riconoscere il diritto dell’amministratore al compenso fino a giugno 2016 (data della cessazione dall’incarico) ed escluderlo, invece, per il periodo da luglio a settembre (data in cui, secondo il Tribunale, sarebbe stata manifestata la “volontà dei condomini contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte” dell’amministratore dimissionario) e ancor più per il periodo fino a dicembre (data della nomina del nuovo amministratore).

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