APPC e la direttiva UE case Green analisi e proposte – Dott. Vincenzo Vecchio

Le decisioni delle istituzioni europee sono a volte caratterizzate da scarso realismo e senso pratico, ma soprattutto si prestano, per la complessità delle questioni poste, ad
interpretazioni distorte da parte dei politici degli stati membri.

Spesso le critiche da parte delle forze più conservatrici sono frutto della volontà, tutta ideologica, di difende le situazioni esistenti come se senza cambiamento e innovazioni i sistemi economici non venissero danneggiati.

Sulla recente volontà di tradurre in direttiva una serie di disposizioni finalizzate a migliorare l’efficienza energetica degli edifici e in particolare delle case da parte della commissione europea all’industria si sono levate moltissime critiche, spesso immotivate e frutto della scarsa conoscenza del testo normativo in discussione.

Nessuno dei critici ha ricordato che l’attuale proposta di direttiva affonda le radici in precedenti atti normativi alcuni dei quali approvati proprio dal governo italiano.

Premesso ciò cerchiamo di capire cosa propone la direttiva e formuliamo delle proposte operative.

La situazione degli immobili italiani per anno di costruzione
La prima analisi da fare nell’affrontare il problema di qualsiasi intervento di carattere generale sul patrimonio immobiliare italiano e in particolare su quello ad uso abitativo è la classificazione degli immobili per anno di costruzione.

Questa analisi è significativa ed utile per capire non solo la vetusta, ma la qualità delle
costruzioni con riferimento ai materiali utilizzati e soprattutto alla vigenza al momento della loro costruzione di norme dettate per la sicurezza o l’efficienza energetica. Norme queste emanate soprattutto negli ultimi 50 anni per il contenimento del consumo energetico, antisismica e il superamento delle barriere architettoniche.

Anno di costruzione  Immobili Residenziali  Percentuale
Ante  1918 2.150.000   21
1919 -1945 1.380.000 13
1946 – 1960  166.000 2
1961 -1970 1.970.000 19
1971 – 1980 1.980.000  19
1981 – 1990 1.290.000 13
19991 -2000 957.000  9
2011 – 2020 350.000  3
Totale 10.243.000  100

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Emerge chiaramente che oltre un quinto   degli immobili hanno più di cento anni (2.150.000, pari al 21%) e che gli immobili costruiti negli ultimi 50 anni sono  circa il 50 % dell’intero patrimonio edilizio del paese.

Se poi volessimo   affinare l’indagine per aree geografiche e per ambiti demografici  dei comuni  la situazione  apparirebbe ben più preoccupante.

Tra l’altro gli immobili più fatiscenti sono quelli utilizzati dalla popolazione più fragile (famiglie a basso reddito, anziani)

Dal 1981 al  2020 si sono costruiti o integralmente ristrutturati  2.597.000 immobili pari al 25%.

Questi sono dati di estrema preoccupazione  per la sicurezza  e per l’efficienza energetica degli edifici e gli effetti sono ben visibili sui danni che conseguono i non rari eventi   naturali che si susseguono (terremoti , alluvioni, frane ecc.).

La situazione energetica degli immobili

Dal punto di vista energetico avendo l’Italia  un patrimonio immobiliare  costruito prevalentemente negli anni antecedenti l’introduzione di norme dirette al risparmio energetico  è evidente  che la composizione degli  edifici  ordinati per classi energetiche non può che  essere la conseguenza palese della vetustà delle costruzione.

Classi energetiche  2021  Percentuale Numero edifici
A 1 1,80  184.374  
A 2 1,50 153.645  
A 3 1,20 122.916  
A 4 2,80 286.804  
B 2,40   245.832  
C  4,40 450.692  
D 9,80 1.003.814  
E 16,30 1.669.609  
F  25,40 2.601.722  
G 34,30 3.513.349  
Totale   10.232.757  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli edifici energivori (sotto la classe D) costituiscono 76% del patrimonio immobiliare si tratta  di 7.784.680  immobili.

Sono cifre impressionanti e che  l’improvvida e abborracciata  normativa del super bonus che ha distrutto  quasi 90 miliardi  di euro (ultimi dati a dicembre 2022) per  migliorare  appena  lo 0,6% degli edifici  costituisce la  dimostrazione palese della bulimia normativa, dirigistica che tra l’altro ha avuto effetti devastanti sulla finanza pubblica, sui prezzi, sulla qualità degli interventi  e soprattutto a vantaggio dei ceti sociali con redditi medio alti (effetto regressivo).

 

La Direttiva  UE e l’obbligo dell’efficientamento energetico

 

La direttiva Ue più volte  esaminata emendata e in prossima discussione a febbraio 2023  impone di  migliorare l’efficienza energetica degli immobili facendoli transitar almeno nella classe  attualmente in discussione richiede di portare almeno alla classe energetica D attraverso la installazione di cappotti termici, sostituzioni di serramenti e caldaie, ventilazione meccanica, pannelli fotovoltaici. Interventi simili a quelli previsti per il super bonus che ricordiamo ha interessato solo  lo 0,6% degli edifici quindi complessivamente meno di 700 mila  immobili.  Per raggiungere l’obbiettivo si dovrebbe intervenire  ancora su circa  7 milioni di immobili con una spesa  quindi di 10 volte quella del super bonus. Occorrerebbe un investimento di  circa 900 miliardi di euro.

E’ un obbiettivo realisticamente realizzabili? Evidentemente no. Così come  si è provveduto a rinnovare il parco automobilistico per  gradi (prima l’euro  zero e poi man mano gli altri) la stessa metodologia si dovrebbe utilizzare per gli immobili.

Il tempo assegnato è troppo breve e  rischierebbe di accentuare  i difetti del super bonus: inflazione dei costi, scarsa qualità del prodotto, aumento del contenzioso e delle truffe, emarginazione di ampie fasce della popolazione.

 

 

 

 

Ciarán Cuffe, parlamentare europeo e componente della commissione industria relatore della direttiva sulle case green ha aperto  delle ipotesi  di attuazione graduale della direttiva che vanno colte.

Innanzi tutto ha premesso che Voglio che “Gli edifici sono responsabili di più di un terzo delle emissioni ad effetto serra nell’Ue”. Quindi pare di capite non è  solo sugli immobili abitativi che occorre intervenire, ma su tutto il settore immobiliare. La seconda   dichiarazione degna di attenzione e da valorizzare nl confronto con l’Unione Europea è ancora più significativa e realistica: “Lo scopo della direttiva sulle case green, fissando delle “ambiziose norme minime di prestazione energetica” è arrivare a “strappare alla povertà energetica milioni di europei”.

Quest’ultimo è un elemento importante e da  usare nel confronto  sulla attuazione della direttiva  sulle cui finalità (riduzione  inquinamento, riduzione dei costi energetici per famiglie e imprese) non possiamo che essere d’accordo.

Sicuramente come si legge nella relazione “l’obiettivo di aiutare i Paesi membri a far sì che gli immobili siano più comodi, meno dispendiosi, riducendo l’uso di fonti fossili, combattendo la povertà energetica e l’aria inquinata, nelle nostre case come nelle nostre città” è  da perseguire. Queste le buone intenzioni da valorizzare, il passo successivo e più complesso è la realizzazione che deve fare i conti con le disponibilità economiche, il dovere di tutelare la piccola proprietà ed evitare la perdita di valore del patrimonio immobiliare dei piccoli proprietari.

Gli edifici esclusi dalla direttiva

Il dibattito politico e sindacale italiano si è limitato prevalentemente a sterili polemiche  di tipo populistico senza entrare nel merito e questo costituisce il vero pericolo per i piccoli proprietari immobiliari.

La  Direttiva (nella sua bozza attuale) come indicato in una intervista da Ciarán Cuffe prevede:

  1. Gli edifici con le peggiori prestazioni (cioè appartenenti alle classi G, F ed E), pubblici e non residenziali, debbono raggiungere la classe D entro il 2030. Gli edifici residenziali e di edilizia sociale hanno tempo fino al 2033 o più per raggiungere questo obiettivo.
  2. Sono previstederoghe specifiche in caso di circostanze nazionali giustificate, come ad esempio una temporanea carenza di lavoratori, o nel caso in cui gli Stati membri vogliano adeguare i requisiti di prestazione energetica per alcune parti del patrimonio edilizio.
  3. Gli immobili storici, quelli protetti secondo la legislazione nazionale, saranno esentati dalle ristrutturazioni. La stessa definizione di immobile storico sarà demandata ai singoli Paesi membri, e non intendiamo chiedere di abolire leggi che attualmente proteggono i centri storici. In ogni caso, i monumenti non sono coperti dalla direttiva.
  4. Divieto di locazione e vendita in caso di edifici di classe energetiche inferiori al minimo non è previsto  nella direttiva,, riguarda le legislazioni  Tale divieto è previsto in alcuni paesi (Francia e Olanda) , ma n sono solo le normative degli stati membri che possono prevederlo.
  5. Ciascun Paese sarà chiamato a mettere a punto il proprio piano nazionale di ristrutturazione degli immobili e l’intero processo sarà guidato dalle condizioni nazionali, e dipenderà dallo stock degli edifici, dalla disponibilità di materiali e di lavoratori. 

Come si vede si aprono ampi margini di confronto e trattativa, occorre quindi entrare nel merito e  nel condivider le finalità (etica dei principi) apprezzabile di riduzione del consumo energetico  individuare programmi di compatibilità economica e di  equità necessariamente legati alla gradualità e individuazione di priorità (etica della responsabilità)

 

La proposta di Appc

Abbiamo assistito in queste settimane al proliferare di  osservazioni e critiche rispetto ad un provvedimento sicuramente giusto nella finalità (sicurezza degli immobili, qualità dell’ambiente, riduzione del fabbisogno energetico e quindi dei costi), ma  errato nella impostazione  di gradualità e nel sistema di finanziamento che resta  ignorato. Spesso le critiche sono venute da  forze politiche che hanno dimenticato che nel recente passato hanno approvato provvedimenti propedeutici che recepivano  indicazioni   e premesse indispensabili alla  direttiva sulle Case  Green.  Non basta dire no e mettere la testa sotto la sabbia. La politica,  anche quella sindacale, deve dimostrare di  essere in grado fare proposte serie e praticabili avendo chiare le finalità che sono quelle del raggiungimento del bene comune  in un equilibrio di impegni finanziari equi e sostenibili.

Qui torna attuale la proposta di  Appc lanciata nel convegno di Genova  del maggio 2022 e la ispirazione ad un nuovo “Piano Fanfani”, quello del miracolo economico dovuto anche alla costruzione di 2,5 milioni di vani in pochissimi anni in un paese più povero e appena uscito devastato dalla guerra.  Un nuovo piano che punti al recupero del patrimonio esistente e non alle nuove costruzione tra l’altro in un apese con andamento demografico  decrescente. Per  far ripartire il settore immobiliare e  raggiungere gli obbiettivi della Direttiva europea   sono necessarie delle pre condizioni:

  1. Aumento della fiducia sull’espansione del ciclo economico
  2. Aumento dell’occupazione
  3. Una diversa politica della casa che agevoli gli interventi con significative riduzioni fiscali che non possono essere limitate alla sola detrazione  fiscale limitata all’Irpef e che abbiano una durata  almeno  decennale  per consentire una seria programmazione degli interventi.
  4. Vanno ridotte anche le imposte locali in occasione di interventi di recupero/riqualificazione (imposta occupazione suolo pubblico, oneri di urbanizzazione, Imu/Tasi ecc.)
  5. Accesso al credito facilitato con interessi  bassi di cui un parte a carico dei proprietari/condomìni e la restante parte a carico dell’impresa.

 

Ci sono interventi che dipendono dai soggetti economici a cui noi facciamo riferimento e che invitiamo a partecipare e realizzare  per l’elaborazione di un piano settoriale di sviluppo virtuoso: banche, condomini, imprese, enti pubblici, stato, amministratori di condominio, associazioni imprenditoriali e della proprietà.

I condomini possono essere stimolati ad impiegare risorse se si fornisce loro la possibilità di disporre di capitali  con prestiti a basso costo e di lungo periodo e se si rivedo le norme che regolano la  responsabilità, le maggioranze, le procedure deliberative delle assemblee. Riconoscere soggettività al condominio, anche se non si vuole riconoscerne la personalità giuridica, in questo quadro è indispensabile.

Le imprese a fronte di pagamenti certi possono  proporre  sconti significativi  negli appalti

Le banche,  se il credito concesso ha  idonee garanzie,  possono accontentarsi di interessi  di contenuto livello.

Lo Stato dovrebbe intervenire con un fondo di garanzia per le morosità  utilizzando la Cassa Depositi e prestiti e consentendo alle banche di  effettuare  mutui chirografari di  durata anche trentennale

I comuni  riducendo gli oneri di urbanizzazione e le imposte locali  per un periodo lungo là dove si presentino interventi di recupero significativo del patrimonio immobiliare.

Le  sovrintendenze regionali  evitando di strutturarsi come uffici  museali.

 

Il nuovo piano casa e i condomini

 

Rilanciare il   settore edilizio  significa dare un contributo essenziale e significativo alla  occupazione e all’incremento del Pil.

 

Rispetto al Piano Fanfani la filosofia che deve guidarci non è più quella dell’intervento per nuove costruzioni, ma il  recupero in termini di efficienza energetica, sismicità, sicurezza generale, aspetto  architettonico e vivibilità del patrimonio esistente.  La vecchia politica degli incentivi fiscali   con le detrazioni e le cessioni di credito non può funzionare, sia perché i redditi assoggettati a tassazione verranno erosi sia perché mancherà liquidità  ai soggetti che debbono intervenire.

La cessione del credito fiscale non sarà risolutiva per due ragioni: la procedura burocratica complessa necessaria superare  la mancanza di interesse del committente alla riduzione dei costi, i limiti oggettivi che rendono applicabile gli incentivi non alla generalità dei cittadini , ma solo ad una parte  e non sempre la parte che ne ha più bisogno e  spesso  neanche agli edifici che   ne avrebbero priorità.

 Un intervento generalizzato è possibile se si danno ai proprietari di immobili strumenti finanziari di facile utilizzazione, ma che nel contempo non si risolvano in mere elargizioni gratuite. Solo se si  crea un conflitto di interesse tra committente (proprietario) e impresa appaltante  si possono contenere i costi e si riducono interventi asseverativi e procedure burocratiche complesse.

Inoltre l’onere per lo stato deve essere  modesto ed evitare l’aggravio del debito pubblico.

Si può ipotizzare la concessione di prestiti di lungo periodo , almeno trentennali, a tasso bassissimo, concessi dalle banche  ai privati, garantiti dallo stato che sull’importo finanziato iscrive una ipoteca sull’immobile su cui viene concesso.

 Occorre ripetere, con meccanismi nuovi e puntando non sulle nuove costruzioni,  la metodologia del Piano  Fanfani, ma  questa volta indirizzando le risorse  per il  recupero del patrimonio immobiliare esistente. Si rende necessaria una coraggiosa   revisione della normativa condominiale, ampliando la portata della prededuzione nei procedimenti di espropriazione immobiliare, riformando le modalità di convocazione delle assemblee e i quorum deliberativi , normando le assemblee telematiche.

 

Condominio e interventi di manutenzione straordinaria

 

Per i condomìni, a legislazione vigente, di fatto, salvo le rare eccezioni di quelli in cui vivono detentori di redditi elevati, è impossibile poter deliberare le opere.

La direttiva   europea se non     adeguata alla situazione reale delle risorse finanziarie disponibili e  al quadro normativo   si infrangerebbe inesorabilmente  nella impossibilità di essere applicata

Le ragioni sono evidenti e molteplici ne indichiamo solo alcune:

  1. l’art 1135 c.c. (Attribuzioni dell’assemblea dei condomini) comma 1 n. 4 prevede che l’assemblea possa deliberare opere di manutenzione straordinaria o innovazioni,« costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori;»
  2. l’art, 63 disp. att. sancisce la responsabilità solidale sussidiaria per le obbligazioni assunte dal condominio
  3. l’art. 1136 individua maggioranze bulgare per le deliberazioni
  4. Impossibilità per il condominio di accedere a prestiti bancari poliennali finalizzati al recupero del patrimonio immobiliare stante il mancato riconoscimento della personalità giuridica
  5. Utilizzo degli spazi pubblici per la installazione dei cappotti termici sulle facciate

 

 

E’ necessario quindi  dilazionare nel tempo gli interventi e le risorse per fasce di edifici con riferimento agli anni di costruzione, prima i più vecchi ed energivori, poi i più recenti; vanno privilegiati i condomìni rispetto alle abitazioni uni familiari. Le grandi proprietà immobiliari  e gli enti pubblici e privati dovrebbero essere  i primi a dovere adeguare gli immobili e senza oneri per lo Stato  Chi ha goduto di rendita di posizione  è giusto che dia un contributo alla vivibilità dell’ambiente anche perché si tratta di immobili che più hanno goduto dai benefici indotti dalle realizzazioni di opere pubbliche (arredo urbano, metropolitane ecc.)  i cui costi sono stati sostenuti soprattutto dalle categorie sociali con reddito medio basso.

 

Il contributo dello stato dovrebbe consistere in  un prestito di 50 anni a tasso zero o al massimo (si può far riferimento al livello di reddito) dell’ 1,5%. Lo stato potrebbe riconoscere al contribuente la possibilità di detrarre, per l’intera durata del prestito, una percentuale  della  quota annuale (ipotizziamo un 20%)  come sconto fiscale cedibile.

Il prestito va garantito dallo Stato che potrebbe iscrivere, per tale importo, ipoteca con costo di iscrizione azzerato.

Il beneficio potrebbe includere sia le opere di manutenzione dei beni comuni che quelle interne alle singole u.i.

L’ipoteca potrebbe anche essere di secondo grado se esistono iscrizioni preesistenti e restare comunque privilegiata in caso di esecuzione in quanto l’intervento di recupero incrementa il valore dell’edificio (analogia con la pre deduzione fallimentare ampliandola anche ai procedimenti esecutivi ordinari).

Il valore del contributo potrebbe  essere non  superiore al 60% del valore OMI dell’immobile (quindi niente perizie giurate, asseverazioni ed altre diavolerie burocratiche).

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