Roberto Giannecchini – Condominio o Comunità?

Condominio o Comunità?

Questa che appare una domanda forse un po’ retorica nasconde dietro di essa un mondo che troppo spesso ci rifiutiamo di vedere.

Troppo spesso all’interno dei nostri condomini accadono fatti dei quali ci stupiamo o ancor peggio ci scandalizziamo, e sempre più spesso la causa è da ricondurre ad una dissociazione tra condomini e al ruolo che ad oggi risulta distorto dell’Amministratore di condominio, troppo preso da lacci e lacciuoli burocratici per potersi dedicare alla costruzione di un sistema di coesione sociale tra condomini o come personalmente auspicherei tra condomini di quartiere.

Provo quindi a dare via ad una personale interpretazione partendo da una storia vissuta.

Siamo nei primi mesi del 1940 a Savona (ma potrebbe essere in altri mille luoghi simili nella nostra penisola) e la nostra storia si svolge in quella che a quel tempo era chiamata Via Generale Pescetto, in quelle che oggi (sì, esistono ancora) sono le case rosse.

In quel fabbricato, una sorta di casa di ringhiera, con molti portoni e un cortile in comune, abitavano decine di famiglie di operai, le classiche famiglie di un tempo, numerose, con almeno tre figli, di provenienza differente (non solo Savonesi ma anche uomini  e donne originarie di altre regioni) e con differenti storie.

Le giornate iniziavano prima del sorgere del sole con un intenso profumo di orzo (il caffè era razionato) e del latte, allungato con acqua per poterne dare un po’ a tutti. Il silenzio (permeato di speranza e  di illusioni)  veniva interrotto, si sentivano con distinzione  i passi sulle scale e il rumore metallico delle biciclette (di chi le poteva possedere) di chi si recava al lavoro. E degli studenti che si recavano a scuola.

Durante la giornata quel fabbricato come molti altri pareva entrare in letargo, le donne, rimaste a casa, si affannavano aiutandosi l’una con l’altra per fare sì che al rientro dei figli e dei mariti vi fosse un piatto di minestra (anch’essa allungata).

Si procedeva a cenare, immaginando chissà quali prelibatezze nel silenzio dignitoso di chi non è abituato a lamentarsi.

Finita la cena, i ragazzi andavano a letto e gli adulti parlavano della loro giornata, di lavoro, di sacrificio, ma soprattutto di quella maledetta guerra. Così le giornate trascorrevano tutte uguali, senza sussulti se non quelli, terribili, delle urla del plotone nazista che aveva deciso di cercare il reazionario in quelle povere abitazioni.

In quei luoghi non c’erano chiavistelli alle porte perché tutti si sentivano parte di una famiglia, e tutti si sostenevano come i mattoni in una sesta. Quello era sì, un fabbricato con tante porte, con tanti interni, ma era soprattutto una comunità.

Poi arrivò il 25 Aprile, la Liberazione dall’oppressore e lì fu festa: tutti ballaronoo, cantaronoo e tutti tirarono fuori dai loro cassetti i sogni di libertà per troppi anni nascosti.

Ma dopo l’ebrezza delle feste bisognava tornare ad essere concreti, bisognava ricostruire un paese su basi solide, su basi che mettessero al centro la libertà individuale.

E come spesso accade tutti si rimboccarono le maniche e iniziarono  a costruire strade, ponti (non quello di Messina), case, vennero ricostruite fabbriche, officine, rinacque il commercio e da lì a poco sarebbe arrivato il boom economico. Poi come nei cicli di nuovo la crisi e di nuovo il boom, quello della Milano da bere, le grandi rivoluzioni tecnologiche, i social network.

Ma un’altra batosta si stava avvicinando. Il Covid, sì un piccolo invisibile virus, che ha messo in ginocchio il mondo intero.

Ma una cosa sopra a tutte e forse la più grave è stata (ma forse non lo è ancora) la consapevolezza dell’isolamento. Ci siamo trovati vicini a tutti ma distanti da tutto.

Il mondo del Web ci permette di parlare con un amico a distanza di migliaia di km ma non ci fa vedere una persona sofferente a pochi centimetri da noi. Ci siamo accorti (ma lo abbiamo dimenticato subito) che solo con la tecnologia non ci si salva, ci siamo accorti dell’importanza di infermiere, di un medico, dell’importanza di avere un letto ospedaliero, un’ambulanza e infine un amico, un vicino di casa. Un vicino di casa che ci potesse prestare un po’ di zucchero o ci potesse anche magari nascosto dietro una mascherina tenere compagnia.

Ci siamo accorti che in quel fabbricato di Via Generale Pescetto c’era fame, paura, freddo ma tanto tanto amore e solidarietà, ci si è ricordati del nostro vicino che nascondeva in soffitta un partigiano, che alle prime ombre camminando rasente i muri portava documenti riservati per donne e uomini della Resistenza. Oppure con tanta paura di essere scoperti ascoltava quella radio Londra che dava speranza di libertà.

Ecco il perché di questo racconto, un perché celato dietro ad un numero di una porta e di un portone. Perché dietro a quel semplice e forse banale numero ci sono delle storie di vita, di arte, di musica, di amore, di sofferenza che urlano che hanno necessità di essere ascoltate.

Noi invece abbiamo ridotto quei fabbricati ad anonime porte con numeri che neppure vediamo uscendo di casa, dietro alle quali neppure sappiamo se c’è la vita.

La somma di quei numeri oggi fanno un condominio che genera costi, bilanci, ha bisogno di gestione ecc. La somma di quei numeri invece deve essere l’aggregazione di anime, di persone, di cuori che battono, di famiglie, di energia pronta ad essere sprigionata. Un’energia non differente da quella di quel fabbricato che allora urlava, se pure in silenzio, la sua voglia di libertà mentre oggi è una energia sopita in una paura differente ma forse peggiore.

Il mio pensiero per un condominio veramente 4.0 è questo. Apriamo quelle porte e uniamoci nelle nostre esperienza, torniamo sulle scale, andiamo nei cortili e riprendiamoci i nostri condomini, auspico una sorta di contagio culturale che partendo dall’energia che sopita vive dietro a quelle porte chiuse coinvolga tutti i nostri condomini i nostri quartieri le nostre citta.

Sono certo che l’amministratore di condominio di oggi e di domani troverà in questi stimoli la vera essenza di quella che può risultare una delle più eccitanti professioni..

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