INTERNAZIONALIZZAZIONE: UN PROCESSO BIDIREZIONALE

Se chiediamo ad un imprenditore che cosa intende per internazionalizzazione, quasi certamente risponderà che è la vendita dei propri prodotti all’estero. Un buon inizio, ma se, probabilmente, una volta questa era la risposta corretta, oggi è un concetto obsoleto e limitativo.

Partiamo da un dato di fatto oggettivo. Alle prime Olimpiadi dell’era moderna, Atene 1896, erano presenti atleti da 14 nazioni. A quelle originariamente previste per quest’anno a Tokio, 207; lo stesso numero di Stati presenti a Rio 2016.

La domanda che un imprenditore dovrebbe porsi? E’ mai possibile che negli altri 207 Stati che esistono al mondo io non possa vendere i miei prodotti in nessuno di questi? E poi: ma queste altre 207 nazioni possono offrire qualche soluzione per la mia azienda? Prodotti finiti, materie prime, tecnologia, esternalizzazione della produzione, collaboratori, finanziamenti, strutture societarie idee.

Il mondo nel 1896 sembrava enorme, e una traversata da un porto europeo a New York per i nostri emigranti, aveva una durata imprevedibile all’epoca delle navi a vela, e diventò di dieci, dodici giorni, con l’avvento dei transatlantici. Il Titanic avrebbe dovuto coprire quel percorso in otto giorni. Oggi un volo Roma Auckland ha la durata di un giorno. Decisamente molto meno degli ottanta che furono necessari a Phileas Fogg nel romanzo di Giulio Verne.

Per tornare alle Olimpiadi del 1896 gli atleti presenti erano 285, di cui solo un italiano: il maratoneta Carlo Airoldi che, peraltro, non venne fatto iscrivere perché accusato di professionismo (ed era addirittura giunto ad Atene a piedi da Milano). Alle Olimpiadi di Tokio sono attesi oltre undicimila atleti. Quanti spettatori saranno (speriamo) presenti fisicamente o vedranno i Giochi in TV? Che considerazioni se ne può trarre per un imprenditore? Che è aumentato in maniera incredibile ed esponenziale il numero di chi conosce l’esistenza dei giochi; che la comunicazione viaggia per il globo in tempo reale; che vi è un aumento della richiesta e dell’offerta di beni non essenziali o indispensabili, bensì di superfluo. Difficile credere che la pausa dovuta all’emergenza Covid 19 possa invertire un trend di consumi che, anzi verosimilmente aumenterà quando torneremo alla normalità.

Trasporti più veloci e flusso costante di informazioni: ecco le chiavi dell’internazionalizzazione bidirezionale. Non solo guardare agli sbocchi per i propri prodotti. Certo, vendere è lo scopo principale ed essenziale di un’azienda, per il suo sviluppo, la crescita e la sopravvivenza; tuttavia oggi i mercati esteri sono diventati basilari per l’approvvigionamento, e non si parla solo di prodotti finiti come può pensare un importatore classico.

Potersi muovere, ed essere presenti è fondamentale, per prendere visione delle diverse realtà dove operare.

Un caso emblematico? Alcuni anni fa avevo accompagnato a Taiwan un’azienda italiana che produceva e distribuiva cabinet per computer: i rack dove vengono inseriti le componenti di un sistema, chiamati anche tower. Ovviamente il progetto era quello di importare prodotti di alto livello a prezzi migliori rispetto a quelli prodotti in Italia ed esser più competitivi nei confronti della concorrenza. Grazie al lavoro svolto nella fase di individuazione delle aziende produttrici, vennero selezionati potenziali fornitori che offrivano prodotti di ottima qualità a prezzi interessanti. Purtroppo i costi di trasporto rendevano non conveniente l’importazione di cabinet finiti. Un fallimento? No: grazie anche all’aiuto delle stesse aziende che capirono come non avremmo potuto comprare i loro rack, contattammo produttori di ruote, piedini per l’appoggio, scorritori laterali (slide) e maniglie. Successivamente trovammo anche produttori di bulloneria. I costi di acquisto della componentistica vennero così abbattuti sensibilmente.

Ma perché ciò fu possibile? Perché l’imprenditore italiano si trovava nel posto giusto e poté prendere cognizione di un qualcosa che, come lui stesso mi riferì, non avrebbe notato, forse perché non ci avrebbe pensato, se fosse rimasto nella propria sede. Inoltre l’imprenditoria Taiwanese, considerato che non aiutava un diretto concorrente, si dimostrò altamente collaborativa. E fu un successo.    

 

Gianni Dell’Aiuto
Avvocato d’impresa